La pieve di san Pellegrino a Puliaco

La pieve di san Pellegrino d’Auxerre sorgeva nel villaggio di Puliaco, e precisamente nella piana dell’Elvo, tra Vigellio e la strada provinciale per Massazza.
San Pellegrino fu la seconda pieve sorta sull’attuale territorio di Salussola, e le sue origini vanno collocate nella seconda metà del secolo V dopo Cristo.
Alla pieve fa riferimento una bolla papale di Urbano III del 1186, nella quale sono elencati i privilegi concessi dal papato alla Chiesa di Vercelli.
Dovette essere una pieve molto importante se ancora nel XIII secolo estendeva la sua giurisdizione sulle chiese di Pratocelso (villaggio scomparso nella frazione Foino di Cossato, presso la Battiana), Castellengo, San Vincenzo e San Giovanni de Monte (Mottalciata), Bozzolina (Mottalcita Santa Maria), San Damiano di Carisio, Villanova, Massazza, Verrone, Vergnasco, Magnonevolo, Cerrione, Zimone, Magnano, San Nicola di Viverone, Santa Maria di Viverone e Roppolo, San Martino al Lago, Suglaco (altro villaggio scomparso tra Piverone e Zimone), Santa Maria e San Gervasio di Salussola, San Lorenzo di Puliaco, San Giovanni di Private (villaggio pure scomparso tra Salussola e Arro) e Arro.
Il più antico pievano, di cui si abbia memoria negli archivi è Vilielmo, ricordato in un documento del 1190.
Nominata in tutti gli elenchi delle pievi vercellesi dei secoli XIII – XIV – XV, seguì anch’essa la sorte del villaggio.
Le lotte tra le fazioni dei Guelfi e dei Ghibellini, con la famosa guerra di Salussola del 1312, devastarono fortemente l’abitato di san Pellegrino, tanto che a poco a poco fu abbandonato dai suoi abitanti, come avvenne anche per i villaggi di Private e d’Arro.
La chiesa non dovette essere distrutta completamente se nel 1340 troviamo ancora il prete Guala de Bertoldanis, pievano di Puliaco e all’inizio del secolo successivo il prete Nicolino de Casatiis, pure pievano
Ma fu proprio in conseguenza delle devastazioni subite e del successivo abbandono degli abitati, che l’11 settembre 1413 il vescovo di Vercelli Matteo Gisalberti, aggregò la pieve di San Pellegrino, con le chiese vicine di San Lorenzo di Puliaco, di San Giovanni Battista di Private e di Santa Maria di Arro con tutti i loro beni e privilegi, alla chiesa di Santa Maria Assunta, trasportando in questa chiesa anche l’esercizio di tutti i diritti plebani, ma con l’obbligo di officiarle nella festa del Santo.
Il Vescovo decretò, stabilendo che il prete Nicolino de Casatiis, allora pievano di Puliaco, risiedesse e fosse tenuto a risiedere presso la chiesa di Santa Maria di Salussola, come un tempo si chiamava pievano di Puliaco, da allora si chiamò pievano di Salussola.
Furono le incursioni e le scorrerie sul territorio che la portarono alla rovina e al successivo abbandono insieme all’altra chiesa di Puliaco, quella di San Lorenzo.
L’edificio abbandonato risultò in rovina quando nel 1606 il vescovo Ferrero fece la Visita Pastorale che descrisse la chiesa come ” discopertam, demoliendam simul cun turri camapanili “.
Nel 1619 il pievano di Salussola registrava:
Nel istesso finagio vi si ritrova una Chiesa di S.to Pellegrino, altre volte Plebanato di Saluzzola tutta guasta e demolita e vi è ancora un pezzo dil Campanile con alcuni belli cantoni et Pietre che si potriano condursi alla Chiesa parochiale in Saluzzola per fare uno novo Campanile a detta Chiesa per esser quello che vi è indecentissimo “.
L’ultimo documento che ricordi questa chiesa è del 1698, in cui si ricorda l’obbligo che un tempo avevano il pievano e i canonici di Salussola di celebrare in essa la festa di San Pellegrino e quelle degli altri Santi nelle chiese di Salussola, già allora diroccate.
Attualmente, in un bosco di fitte acacie, sono conservati i resti del massiccio campanile e le fondamenta dei muri della chiesa, da cui risulta che doveva essere a tre navate.
L’edificio era costruito con orientamento liturgico a levante, ed è ancora ben conservata la parte inferiore dell’abside della navata laterale a sud, la cui struttura muraria è costituita da ciottoli del torrente Elvo, disposti a spina di pesce, legati da spessi strati di malta, su cui si vedono le incisioni fatte con la punta della cazzuola.
All’esterno quest’abside mostra tre strati di lesene, formate da mattoni, intercalati da pochi conci di pietra.
Anche della facciata è rimasto un solo tratto di muro, costituito da conci di pietra disposti disordinatamente.
Al centro l’apertura, che un tempo doveva contenere la porta principale della chiesa.
I resti più interessanti sono quelli del campanile, di pianta quadrata, addossato alla chiesa sul lato nord.
Muri dello spessore di circa un metro e mezzo alla base, che vanno restringendosi a piani verso la sommità, eseguiti in ciottoli di torrente a spina di pesce, con agli spigoli resti di contrafforti in blocchi di pietra squadrata e mattoni.
Una porta con arco romanico, dava adito al campanile da una navata laterale della chiesa.
Numerosi resti di tegoloni romani, con l’incisione di un marchio che indicava il luogo di provenienza, attestano quale doveva essere la copertura del campanile e della chiesa.
Da questi resti possiamo datare il campanile al secolo XII e la chiesa a pochi decenni prima.
Si tratta quindi di una ricostruzione della chiesa plebana primitiva.

Interessante sarebbe intraprendere degli scavi in questa località, perché oltre a rimettere in luce gli elementi che s’intravedono nel terreno, potrebbero portare alla scoperta dell’antico battistero, che si suppone dovesse essere come quello della pieve di Biella.

 

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