Le spoglie di san Grato martire ( 2a parte )
⫸ L’autentica ed un Verbale di Ricognizione – Proseguendo le ricerche, rese più premurose dal desiderio oramai diventato di molti, il Vicario Don Mosca, nella prima metà del settembre 1898 , rinvenne, dove e quando meno se l’aspettava, un piccolo piego contenente i due documenti capitali intorno alla provenienza e alla ricognizione giuridica delle reliquie di San Grato Martire, portanti le date del 1709 e del 1730.
Quello che riguarda la provenienza è del seguente tenore:
« Gaspare, per grazia di Dio, Vescovo di Sabina, Cardinale Carpineo, Vicario Generale del SS. Sig. N. il Papa e giudice ordinario nell’Alma Città e nel suo distretto: A tutti e ai singoli che vedranno queste nostre lettere facciamo fede ed attestiamo che Noi, per la maggior gloria di Dio onnipotente, e per la venerazione dei sui Santi abbiamo dato in dono all’ill.mo signor Conte Giuseppe Tommaso di Serravalle il Sacro Corpo del Santo Martire di Cristo, Grato, col vaso di sangue, da Noi, per ordine del SS. N. il Papa. estratta dal Cimitero di Ponziano, che Noi abbiamo conceduto entro cassetta di legno coperta da carta rossa, dipinta a fiori e ramoscelli stampati in oro, coperta e ben chiusa, e legata con cordone di seta color rosso, bollata col nostro sigillo, al predetto ill.mo signor Conte Giuseppe, e gli abbiamo nel Signore data la facoltà di ritenere presso do sé il detto Corpo di San Grato, di donarlo ad altri, di trasportarlo fuori della Città, di esporlo alla venerazione dei fedeli, e di collocarlo in qualsiasi Chiesa, Oratorio o Cappella.
In fede di ciò abbiamo comandato al sottoscritto custode delle SS. Reliquie di spedire queste lettere testimoniali sottoscritte di nostra mano, e bollate col nostro sigillo. Roma, dal nostro palazzo addì 16 gennaio, anno 1709 – Segnato G. Card. Carpineo – Il Custode, (firma indecifrabile) – + luogo del sigillo ».
Nel verso di questo documento si legge: « Il sottoscritto Conte Giuseppe Tommaso Salomone di Serravalle, Governatore in secondo per S. A. R. della Città e Provincia di Asti, Dò latio, cedo et rimetto alla Chiesa Collegiata di Saluzzola et al popolo di detto luogo il Sacro Corpo di San Grato Martire segnato nella retroscritta lettera, pregando il M. Ill. e M. R. signor Prevosto et signori Canonici et Popolo suddetto di pregare il signor Iddio et il detto Santo Martire per me.
Et in fede di detta cessione et remissione di detto Corpo Santo mi sono qui sotto con mio proprio nome sottoscritto. – Saluzzola li 13 agosto 1709.
Firmato: Giuseppe Thomaso Salomone di Serravalle ».
L’altro documento è il processo verbale di una ricognizione delle reliquie di San Grato fattasi alli 12 settembre 1730. Esso è non solo troppo minuzioso e prolisso, ma anche intralciato di formule curiali, per cui, invece di tradurlo, lo riassumiamo: Volendosi per desiderio del popolo e della Comunità, rappresentati dal sig. Consigliere Giovanni Stefano Grosso, riporre le reliquie di San Grato in una nuova urna a vetri, per esporle alla pubblica venerazione, il detto Grosso faceva istanza al Prevosto Teologo Don Giuseppe Bernardo Giordanino per la riposizione.
Il signor Prevosto, delegato dall’ill.mo e Rev. signor Canonico Cantono, Vicario Generale di S. E. il Card. Carlo Vincenzo Ferreri, Vescovo di Vercelli, vi procedeva, assistito dall’attuario Don Gio. Domenico Salussoglia, Notaio Apostolico e del S. Ufficio di Vercelli.
Vi si premette che lo stesso Prevosto Don Giordanino alli 15 di agosto dell’anno 1709, allora delegato del M. Ill.e e Rev. Canonico Cusano, Vicario Capitolare per la sede vacante di Vercelli, aveva già proceduto a una prima ricognizione del corpo tutto di San Grato Martire, donato alla Chiesa Collegiata ed al popolo, per facoltà concessa dall’Eminentissimo Cardinale Carpineo, in data 16 gennaio 1709, e fatta la ricognizione, lo aveva rimesso nella medesima cassetta, munendola di convenienti sigilli, e di ciò si era dato atto con processo verbale del notaio apostolico Ferreri.
Presentatasi la nuova urna a vetri, atta a contenere il sacro deposito « posata su quattro pedistalli dorati, e parimente dorata davanti e ai fianchi, sormontata da cimiero con tre angeli in attitudine trionfante, con tre grandi cristalli, foderata di ormesino e con panno rosso al di sotto … », si estrae e si presenta pure la cassetta vecchia. Secondo le prescrizioni Tridentine, accese sei candele, si procede ad una diligente ispezione della vecchia cassetta di legno.
Questa fu trovata « essere di legno, foderata di carta rossa, dipinta a fiori e ramoscelli in oro, ben chiusa e legata con cordoncino di seta rossa, e con dodici impronte del sigillo Collegiale di Salussola, su ceralacca rossa, in nessun luogo guasta ».
Apertala vi si trovò: … ( omissis; segue l’elenco delle ossa ).
In tal modo si ritrovò nella predetta vecchia cassetta il Sacro Corpo, fermo e disposto come erasi trovato nella prima ricognizione delli 15 agosto 1709.
Veneratesi quindi le reliquie, venne tolta dalla cassetta antica solo la parte anteriore, e quella di sopra, e le altre parti, insieme col corpo intero del Santo Martire ivi contenuto, furono immesse nella nuova urna, che venne chiusa, apponendo sullo sportello di dietro sei sigilli sopra i chiodi che lo fermavano, tre nella parte superiore e tre nell’inferiore, e sopra di tutto una crociera di cordone o nastro di seta rossa, fermata con altri cinque sigilli.
Tutti i sigilli erano in cera lacca rossa, improntati collo stemma del Prevosto Don Giordanino, in due campi, l’inferiore col fiume Giordano, il superiore col crescente lunare e tre stelle, sopra, il morione aperto, e intorno due palme.
⫸ Estrazione e Ricognizione dell’Urna – Con questi due documenti nel testo originale, e cogli estratti delle memorie noverate al § II, il Vicario Don Mosca fece ricorso a Monsignor Vescovo della Diocesi, supplicandolo che si degnasse di ordinare l’estrazione e la verifica dell’Urna trovata, onde vedere se essa era veramente quella contenete il corpo di San Grato, e se questo potesse restituirsi alla pubblica venerazione.
Monsignor Vescovo, con suo decreto del 24 settembre 1898, delegava lo stesso Don Mosca Severino, suo Vicario Foraneo, a quest’estrazione e verifica, da farsi colla debita cautela e riverenza.
Fu stabilito di eseguire il decreto Vescovile nel pomeriggio del giorno 27 dello stesso mese.
Furono invitati ad assistervi i membri del Clero, il Municipio ed altre persone ragguardevoli del paese che intervennero in buon numero.
Mentre i muratori attendevano ad allargare l’apertura della nicchia, operazione difficile perché si trattava di spostare massi di marmo tarsiato, che impedivano l’estrazione dell’Urna, e ad aprire il fondo della nicchia verso l’esterno della chiesa per dar maggior agio e luce, il Vicario adunava i convocati nella chiesa.
Espose loro il motivo dell’adunanza e quanto importasse il buon esito della operazione, dal cui risultato positivo dipendeva il potere o no esporre le Reliquie, venerate dai maggiori con tanta devozione per lunghi anni.
Poscia lesse le memorie e i documenti che riguardano la provenienza delle Reliquie, e la loro storia, spiegandoli in volgare per la comune intelligenza e mostrandoli a tutti nei loro originali. Infine fece leggere l’iscrizione dipinta sopra l’arco mediano della Cappella di San Luigi, riportata al § I.
Veduto poi che i muratori avevano finito il loro compito, si avvicinò coi convocati all’altare, raccomandò la massima cautela ed attenzione, onde impedire la scosse e gli urti che avrebbero potuto danneggiare la cassa e il suo contenuto, e poi diede ordine di cominciare l’estrazione.
Tutto procedette felicemente.
Con adatti sopporti fu sollevata l’urna, poi lentamente portata in fuori e deposta prima sulla mensa dell’altare e quindi su di un tavolo preparato in mezzo alla Cappella, con attorno ceri accesi.
Gli invitati, soli ammessi nella Cappella, mentre il popolo si accalcava fuori della cancellata, si avvicinarono all’urna con riverente curiosità di vederne il contenuto.
Guardando dalla parte di prospetto, si vide con grata sorpresa, nell’interno dell’urna, il Corpo del Santo nello stato preciso in cui poco prima l’avevano udito a descrivere nella lettura del verbale 12 settembre 1730 !.
Il Vicario Don Mosca lo rilesse allora commentandolo coll’indicazione d’ogni parte, di mano in mano che si descriveva, tra la meraviglia di ognuno, perché non si sperava di trovare le reliquie così ben conservate fin nelle minime parti, dopo tante vicende subite.
Appagata la prima e così ragionevole curiosità in pochi minuti, si procedette alla verifica minuziosa ed attenta della Cassa od Urna, richiamando sempre ed in tutto le indicazioni del verbale predetto.
Cominciando dalle dimensioni, queste, ridotte in misura decimale, corrispondono colle date.
L’Urna poi, nel suo esterno, corrispondeva pure esattamente alla descrizione in tutto, anche negli ornati, salvo il gruppo di tre angeli in forma trionfante, che stavano una volta per cimiero, tolto probabilmente quando si volle introdurre l’Urna nella nicchia, troppo bassa per lasciarla entrare in tutta la sua altezza.
Il corpo, cioè l’affusto dell’Urna, rimane intero e solido, cogli incastri fermi ed ancor resistenti, i cristalli ben calettati, senza menoma fenditura.
Si osservò in modo particolare quello della parte a sinistra, che rimaneva in vista dalla nicchia, e pel contrasto tra l’aria esterna ed il chiuso della nicchia, era già esposto a smuoversi.
A ciò si aggiungano gli urti avuti per il contatto coll’asta di una croce, che gli si immetteva accosto, e non sempre delicatamente, perché non si sapeva esistesse, e questo avveniva ogni anno nel preparare il Sepolcro pel Giovedì Santo.
Con tutto ciò, niuna rottura e neanche smovimento.
Si passò poscia alla verifica dei sigilli.
La cassa ha una sola apertura, ed è dalla parte di dietro, con uno sportello a tavolette calettate, senza pittura, mentre il resto è dorato o dipinto.
Il fondo, le paraste, che fanno cornice ai cristalli, ed il tettuccio a piramide tronca, sono uniti in un sol corpo.
Lo sportello di dietro è fisso con chiodi all’armatura.
Questi si contano in numero di sei, come è detto nel più volte citato verbale del 1730, tre nella parte superiore e tre nella inferiore, nel senso della fibra legnosa.
Sono ancora tutti coperti dai sigilli col l’impronto descritto, che si vede chiaro nella maggior parte di essi.
Nessuno dei sigilli è completamente staccato, tutti aderiscono completamente alle capocce dei chiodi e del legno circostante. Intorno ai fori dei chiodi non si vede né spaccatura, né distorsione che accusi tentativo fatto per sconficcarli.
Ciò venne constatato da persone tecniche e competenti per tali perizie, che si trovavano tra gli astanti e che dichiararono vedersi impossibile ogni avvenuta effrazione.
Oltre ai chiodi furono messe, forse più tardi, parecchie viti di rinforzo: queste neppure mostrano che siasi tentato di sconficcarle.
Se l’ossatura dell’urna rimane intera e ferma, in prova che il suo contenuto non fu e non potè essere nè manomesso, nè violato, altrettanto non può dirsi delle dorature e dei pezzi d’ornato a riporto, perchè le une e gli altri sono corrosi e staccati in più luoghi per effetto dell’umidità.
Ciò non è a stupirsi, trattandosi di una urna in legno, stata per circa 170 anni in luoghi chiusi, per lo più umidi, e specialmente dal 1828 in poi, in una nicchia che evidentemente non era abbastanza asciutta quando vi fu introdotta. In prova di ciò si vede che l’intonaco di essa, specialmente nel volto, era completamente caduto in minuta polvere intorno all’urna e sul suo coperchio.
Questa umidità distrusse pure lentamente in crociera di nastro, di cui rimangono i cinque sigilli, mentre del nastro non si trovarono che alcuni pezzi quasi ridotti in polvere. ma da quanto si è verificato, può dirsi che la mancanza di tale segno di sicurezza non è tal fatto che possa indurre dubbio di avvenuta effrazione ed apertura.
Difatti rimangono altri sigilli intatti che stanno a prova di perfetta integrità.
In prova di questo risultato positivo e superiore ad ogni aspettazione, dopo tanto tempo che l’urna è rimasta come dimenticata, si redasse immediatamente processo verbale da trasmettersi alla Curia Vescovile, secondo l’ordine inserito nel decreto di delegazione.
Venne firmato dalla massima parte dei presenti, essendosi alcuni ritirati per l’ora assai tarda.
Il verbale originale porta le firme: del Prevosto e Vicario delegato Don Severino Mosca; dei Reverendi Don Gio. Giuseppe Perino e Don Stefano Schiapparelli, parroci delle borgate di Vigellio e di Arro; dei beneficiati Don Penna Carlo e Don Lacchia Giovanni; dei Padri Gio. Battista Tonella e Comoli Eugenio e del Chierico Boggio Francesco dell’Oratorio di San Filippo in Biella; del Sindaco Bosco Pietro, degli Assessori Lacchia Giuseppe e Cresto Felice, e dei Consiglieri Comunali Ravera cav. Giuseppe e Bersano Eugenio, col Segretario geom. Federico Pistono; dei Frabbricieri Bosco Carlo, Rainero Gio. Battista, Bersano Carlo e Chiappara Giovanni; dei signori dottor Cesare Gazzani, notaio avv. Alberto Garzena, esattore Cesare Garzena, ing. Isidoro Deluze, catastraro e capo-mastro Alberto Perazzone, Varale Pacifico, Ciocchetti Giuseppe, Zanotto Celestino, Cresto Giacomo; e dei due muratori che lavorarono ad estrarre l’urna: Perazzone Luigi e Perazzone Carlo.
Il processo verbale venne redatto dal Parroco Don G. G. Perino sopra nominato, qual Segretario assunto.
Copia di esso fu presentata a Monsignor Vescovo, che, dopo maturo esame, si degnò di approvare e ratificare l’operato del suo Vicario Foraneo Don Mosca, riserbandosi di emanare, a tempo opportuno e per organo della sua Curia, il decreto formale di ricognizione e riposizione delle Reliquie in una nuova urna decorosa, , per esporle alla venerazione dei divoti.
Mostrò desiderio che al più presto si allestisse ogni cosa, per festeggiare degnamente questa scoperta felice e l’inaugurazione della nuova urna.
Pagin 2 di 3
continua ⇒